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1° tempo

 

“La cerca del Graal”

 

Condiviso da tutti, questo fu il tema, l’argomento, ed il titolo scelto. La “ricerca” era senza dubbio il tema corrente e l’obbiettivo del giovanissimo Movimento oramai definitosi nel nome: Ricostruttori nella preghiera http://www.iricostruttori.com/; un cercar di penetrare tra le pieghe del mistero spirituale che bene era stato descritto nella tradizione monastica come la nube di non conoscenza, attraverso la pratica della meditazione profonda, la quale comportava delle precise pratiche di vita quotidiana. L’igiene del corpo e della mente, l’esercizio costante di attenzione ai bisogni dell’ambiente nel quale si era inseriti (un servizio alle piante, agli animali, alle persone); una “tensione” verso il soprannaturale che si radicasse nella piena familiarità col “naturale”. Una ricerca di consapevolezza matura, un desiderio di comprensione del “senso” compiuto della nostra comune esistenza.

Se questo era il desiderio di tutti coloro che frequentavano a vario titolo il Movimento, per noi giovani (alcuni poco più che ragazzi) costituiva un’urgenza, una sete indescrivibile; così, ci venne naturale riversare nel progetto teatrale che andavamo a costruire tutto quello che ci sembrava di cogliere nell’esperienza quotidiana della meditazione e della comune vita nel Gruppo.

Nelle pieghe della trama tutto sembrava consonante: una terra senza orientamento (Camelot), una Spada senza degno padrone, un giovane tanto predestinato (Artù) quanto inadeguato ed improbabile, una guida (Merlino) che attraverso un paziente apprendistato lo prepara a prendere il proprio posto nella Tavola Rotonda. E poi gli ostacoli, le tentazioni, cadute e risalite.

La fatica e la bellezza della costruzione, crolli, meraviglia e fatiche della ricostruzione; tutto ciò aveva per noi il sapore di un’esperienza vissuta “in diretta”. Mettemmo quindi in scena nient’altro che noi stessi, la nostra visione per certi versi neonata della ricerca spirituale, la nostra incerta e formidabile aspirazione di “verticalità”.

 

La regia della commedia venne affidata a Marco Baroni, che aveva appena lasciato la compagnia della Bella Hutter per entrare nella Comunità del Movimento. Arcangelo e Lillo Giordano scrissero alcune delle canzoni, io ne scrissi delle altre e mi occupai della “colonna sonora”, cioè musiche da utilizzare per balletti, cambi di scena e quant’altro; a questo scopo riscoprii un vecchio 33 giri che avevo comperato da un rigattiere anni prima, la colonna sonora del film “El Topo” di

A. Jodorowsky, nel quale trovai tutto ciò di cui avevo bisogno.

Il ruolo di Merlino sembrava cucito su misura per Cesare Di Donna, Arcangelo Giordano fu Parsifal, le parti di Artù e Ginevra vennero affidate a Marco Araldi e Eugenia Malinverni; Mauro Pozzi interpretò  Lancillotto del Lago. MarioGili e Benno Baldo furono Lucifero e Belzebù.

Io cucii su mia misura la parte di un Cantastorie un po’ fuori scena, una specie di “scettico” che accompagnava lo svolgersi della vicenda teatrale (con inserti un po’ cantati e un po’ recitati) fornendo al tutto una sorta di contraddittorio, di “opposizione”; una voce fuori dal coro, anche sgradevole fino al termine, ma mai “fuori” dalla vicenda. Se vogliamo, una “coscienza critica”.

Come dicevo, mettemmo in scena nient’altro che noi stessi, perciò scelsi per me una parte in chiaroscuro, quella che – in quel tempo ed oltre – sentivo più mia.

 

Ai balletti ed alle scene d’insieme parteciparono molti degli amici già nominati nel prologo, impegnati nella messa in opera di Forza venite gente. Altri se ne aggiunsero, quali Walter Rondoletto, Pier Tateo, Gianandrea Bodo, Roberto Maule.

Andammo in scena per la prima rappresentazione nel 1984, dopo un paio d’anni di lavoro frenetico di scrittura, limatura, costruzione scenografica e prove d’insieme.

Ci ospitò l’Auditorium di Pinerolo, gremito in ogni ordine di posti e con la presenza del Vescovo del tempo, Mons. Giachetti

http://www.dehoniane.it:9080/komodo/trunk/webapp/web/files/riviste/archivio/01/200616581a.htm; per essere in buona parte attori, ballerini e cantanti improvvisati ce la cavammo discretamente, così per un buon anno e mezzo le rappresentazioni continuarono in vari teatri di Torino, La Spezia, Brescia, Milano.

 La colonna sonora si basava – come dicevo - su alcune canzoni dei fratelli Giordano, alcune mie e su brani musicali estrapolati dalla colonna sonora di “El Topo” di Jodorowsky,

Facemmo anche una registrazione delle canzoni in una sala d’incisione di Vercelli (Black Eagle Sound) gestita da un nostro amico, Gianmario Ceridonio, avvalendoci dell’aiuto fondamentale di un complesso di Piobesi, Il Nodo (http://www.musicainsiemepiobesi.it/la_storia.htm) , che ci prestò il proprio tempo e la propria bravura di strumentisti e vocalist. Le altre voci soliste presenti furono quelle di Marco Araldi, Laura Milano, Lillo Giordano, Arcangelo Giordano e la mia.

 

La prima versione de: “La cerca del Graal”, dicevo, ci impegnò per un paio d’anni, tra prove e rappresentazioni; quindi, Marco Baroni entrò in seminario, lasciando il ruolo di regista, facendo venire ovviamente a mancare il balletto che aveva creato ed eseguiva in uno dei momenti chiave della Commedia (un intenso ed emozionante cameo sulle note della canzone Lancillotto e Ginevra sulla collina). Bisognava decidere se proseguire in una nuova versione o lasciare esaurire serenamente il progetto; decidemmo di affidare la regia a Cesare Di Donna, che interpretava già la parte di Merlino, e ripartire.

Cesare cercò di dare la sua impronta con una serie di idee brillanti e numerosi cambiamenti nella struttura propria della Commedia, con defezioni di alcuni elementi e nuovi inserimenti.

La parte di Ginevra venne affidata a Rachele Rocco, mentre Eugenia Malinverni tentò di dare al balletto di Marco un’interpretazione propria; al Cantastorie vennero affiancati Umberto Niola e Tatiana Lepore  (https://it.wikipedia.org/wiki/Tatiana_Lepore) (una undicenne che avrebbe poi percorsa una brillante carriera come attrice di cinema e di teatro), Gianni Rizzo sostituì Marco Araldi nel ruolo di Artù. Entrarono con ruoli minori Tiziana Donadeo, Luisa Razetto, Luisa Sesino, Simona Bagliano, Giuseppe DeMatheis, la piccola Sara Genone e le sorelle Elisa ed Alessia Eusebio, amiche di Tatiana e anch’esse undicenni o poco meno, che sarebbero diventate in seguito protagoniste di tanta vita del Gruppo Teatro Devadatta.

Collaborarono come musicisti (percussioni e varie) di scena Ettore Infanti https://www.flickr.com/groups/1948290@N25/discuss/72157650194916835/

ed il mio amico Roberto Sandrone, batterista del complesso Torino Formazione Archivio, che avevo lasciato per entrare nel Movimento. Entrambi ottimi strumentisti, dettero obbiettivamente un taglio nuovo ed interessante al progetto, e così i nuovi inserimenti; tuttavia questa nuova versione della Commedia mostrò la corda abbastanza presto; nonostante gli sforzi di Cesare e di tutti noi qualcosa aveva reso più pesante il lavoro comune e complicato l’amalgama. Era come si fosse esaurita l’energia che aveva reso possibile superare limiti e impedimenti, e quegli stessi si riaffacciavano prepotenti dando al tutto un’aria di sfilacciamento, e di perdita di senso. Dopo un periodo di rodaggio con prove ancor più faticose e sempre meno entusiaste, andammo in scena un paio di volte nella nuova versione, poi la cosa si esaurì. Di nuovo, ci riunimmo a casa di Mario e Marì Gili per valutare il da farsi; Cesare aveva lasciato per vari motivi il ruolo di regista, e dopo averne valutato una serie di candidature (anche esterne al Movimento) più o meno proponibili, mi presi la responsabilità  di “ratificare” la chiusura del progetto, dichiarando la mia volontà di non continuare. 

 

In realtà, da qualche mese stavo lavorando ad un nuovo progetto, completamente diverso.

Padre John mi aveva dato da ascoltare una serie di canzoni scritte da Gianandrea Bodo e Simona Cavallari, sposi da breve tempo. Erano canzoni particolari che potevano piacere o non piacere, ma che ad un ascolto non superficiale rivelavano molti aspetti interessanti e teatrali, quasi ispirati.

L’esaurimento che ormai vivevamo tutti noi per un lavoro così mastodontico nell’organizzazione, nella preparazione e nell’esecuzione quale la Cerca del Graal mi spingeva a valutare un progetto diverso, snello, più intimista. Uno spettacolo prodotto non più dall’insieme del Movimento, ma solo da alcuni elementi facenti parte del Movimento, magari con una “specializzazione” maggiore. Così, mi cimentai nella scrittura delle parti recitate con le quali intervallare alcune delle canzoni che mi erano state presentate, producendo dei veri e propri monologhi e “inventandomi” voce recitante del nascente spettacolo che chiamai: Caleidoscopio, produzione che costituisce l’ideale passaggio dalla fine del primo all’inizio del secondo tempo della vita del Gruppo Teatro Devadatta.

 

 

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