top of page

2° tempo

 

da Caleidoscopio ai giorni nostri

 

 

 

C’era un altro motivo che mi spingeva a cercare un diverso modo di fare Teatro dall’interno di un’esperienza di vita come quella che stavamo percorrendo.

Ho descritto l’entusiasmo con il quale abbiamo interpretato Forza venite gente e poi messo in scena La cerca del Graal; ci sembrava di potere e dovere parlare del fatto spirituale attraverso il teatro, la musica, la parola ed il gesto, e ci siamo gettati nell’impresa con slancio, fervore e zelo entusiasta, mettendo in scena sinceramente tutto ciò che avevamo capito e che ritenevamo di poter comunicare con facilità. A questo scopo, nella Cerca del Graal erano presenti richiami e citazioni continue alla nostra esperienza nel Movimento, a quelle pratiche di “ascesi” che richiamavo all’inizio e che cercavamo di rendere pratica di vita quotidiana; nella relazione tra Merlino e Parsifal mettevamo anche la nostra idea di relazione tra maestro e discepolo così come l’avevamo “compresa” agli albori della nostra piccola esperienza spirituale, dando a tutto una valenza precisa, definita. 

Mi chiedevo se fosse davvero il caso di esplicitare contenuti così misteriosi e preziosi rinchiudendoli giocoforza in una sorta di “protocollo”; insomma, la mia percezione di allora era che non fosse giusto utilizzare “l’arte” (seppur in una forma così elementare come la nostra) per propagandare qualcosa (anche se si trattava per noi di qualcosa di meraviglioso), quasi “comunicando un prodotto”, e che “citare” lo Spirito con le nostre parole non fosse la stessa cosa che lasciare allo Spirito la possibilità di parlare attraverso noi lasciandogli la libertà

di scegliere le parole.

Così, cercai di scrivere e assemblare dei testi recitati in quell’ottica; parlare del fatto spirituale con nomi e dinamiche un po’ più nascoste, meno immediate. Usare l’analogia, parole da ruminare e immagini teatral/musicali il più possibile penetranti.

Questa, almeno, era l’intenzione; quindi, il progetto Caleidoscopio partì.

 

Chiesi l’aiuto di Luciana Ligios quale cantante solista, Carmela Ligios e Laura Crivello (Serena) furono le coriste, mentre i due autori delle canzoni (Simona Cavallari e Gianandrea Bodo) si avvalsero della collaborazione di Sandro Filia (https://www.youtube.com/channel/UCu1F0pSClPbAUL1DDsPKIqA) alla chitarra e charango, Giovanni Maiandi al basso, Roberto Sandrone del Torino Formazione Archivio alla batteria, Giampiero Paschetta del complesso Il Nodo (che già aveva partecipato all’incisione delle canzoni della Cerca del Graal), Walter De Mattia alle tastiere. Debuttammo nello stesso teatro di Pinerolo dove avevamo esordito con la Cerca del Graal, con un discreto successo di critica e di pubblico (come si dice a scuola di un alunno ancora né carne né pesce…).

Comprensibilmente, il passaggio da una commedia di due ore e più con colori e scenografie variegate, trame complesse, scene d’insieme, balletti e quant’altro ad uno spettacolo molto più statico, con cinque musicisti in scena, quattro cantanti al microfono e una voce recitante monologhi sulla falsariga del teatro/canzone di Giorgio Gaber (senza ovviamente essere Giorgio Gaber ndr) , sembrava a molti di noi un deciso ridimensionamento e al tempo stesso un “impoverimento”.Anche perché si era passati da una precisa e aperta presentazione di intenti e proposte (che era sembrato inizialmente un po’ l’implicito obiettivo del Movimento) attraverso il Teatro, ad un insieme di testi apparentemente nebulosi, criptici, non di rado paradossali e sconcertanti. Dov’era il messaggio?

Molti si chiedevano quale scopo avesse un tipo di proposta del genere, e che interesse avesse il Movimento a “presentarla”; non sarebbe stato più giusto connotarla come il lavoro di un singolo, una sua personale presunta “vocazione” in luogo dell’espressione di un’esperienza collettiva da portare a chiunque in modo più esplicito?

Come disse molti anni dopo Antonio Albanese nel film Questioni di cuore, “…questa è la Domanda! ”E questo interrogativo ha percorso il tempo della vita del Gruppo Teatro, e dopo tre decenni in qualche modo la risposta è ancora di là da venire.

 

Dopo la “prima” in quel di Pinerolo, sembrò chiaro a tutti noi quanto la dimensione del “Teatro” fosse un po’ eccessiva, per uno spettacolo come Caleidoscopio. Si sarebbero presentati gli stessi problemi organizzativi, gestionali che avevamo incontrato nella Cerca del Graal,  e noi avevamo invece bisogno di portare lo spettacolo anche in luoghi piccoli, sale conferenze o sale concerto, più gestibili, più a nostra misura. Si decise, con dispiacere di tutti e miei personali sensi di colpa più che decennali nei confronti degli amici che ci avevano dato una così preziosa mano, di ridurre la componente musicale a due chitarristi, Giovanni Maiandi e Gianandrea Bodo, due coriste (Carmela Ligios e Rachele Rocco), una cantante solista (Luciana Ligios) e una voce contemporaneamente solista e recitante (Mario Coppotelli). Un numero limitato a sei persone, che con l’aggiunta di un tecnico luci ed audio (per un certo periodo Corrado Paparella, quindi Ettore Infanti e poi Arcangelo Giordano) rendesse facili anche gli spostamenti con il poco materiale necessario (un furgone da otto posti stipato di tutto punto).

Riprendemmo la messa in scena di Caleidoscopio in questa versione e la scelta si rivelò immediatamente felice; potevamo andare ospiti presso salette private come in teatri da cento/centocinquanta posti, negli auditorium o all’interno di cascine.

Nei due anni successivi prendemmo molti impegni, e girammo l’Italia centro-nord, Milano, Brescia, Pinerolo, Biella, Torino;  scendemmo anche a Roma, Parma, Firenze, Bologna.

La formula sembrava trovata, almeno per quello che era allora il mio modo di scrivere e pensare l’evento, perciò dopo un anno , mentre le repliche continuavano, iniziai a preparare il mio secondo spettacolo del genere Teatro/canzone, cioè:

 

 

Amore, mi manchi…   

 

La struttura rimase pressappoco invariata, come pure le due voci soliste (Luciana Ligios ed io) alle quali si aggiungevano però Gianni Ferrario (http://www.grammelot.com/it_it/default.asp) e Arcangelo Giordano, il quale faceva il suo ritorno nel Gruppo Teatro sostituendo come chitarrista

G. Maiandi e G. Bodo. Una sola chitarra, quindi, qualche percussione da usare a turno, delle basi musicali da aggiungere qua e là, e quattro voci alternativamente soliste e coriste.

Anche in questo spettacolo la base portante era costituita da monologhi che si alternavano con qualche brano musicale ancora scritto da Simona e Gianandrea e con altre canzoni ricavate dalla tradizione popolare e dalla musica leggera italiana anni ’40, ’50, 60.

Come quando mi ero occupato della colonna sonora della Cerca del Graal inserendo alcune musiche tratte dalla colonna sonora del film El Topo, così per Amore, mi manchi…di nuovo mi dedicai alla ricerca nelle radici musicali delle quali ho fatto cenno con una convinzione ancora maggiore, dovuta anche alla particolare natura della “strada”che stavamo percorrendo e che ho molto brevemente descritto parlando dei Ricostruttori nella preghiera.

 

Già il nome ci dava in qualche modo una connotazione. Ricostruttori…si cercava di esserlo un po’ di tutto, ognuno nell’ambito che più lo rappresentava; il Movimento si occupava di ricostruire cascine, luoghi fatiscenti o abbandonati per farne luoghi di preghiera, di lavoro, di vita comune utilizzando materiale di recupero e le forze di tutti, anche le più sconclusionate e improponibili. Non di rado si smontavano capannoni o edifici rurali abbandonati che ci venivano regalati utilizzando tegole, mattoni e quant’altro per la riedificazione di altri edifici, cascine, fabbricati.

Il “recupero” di ogni cosa, persona, materiale, abilità, non più utilizzata per tanto tempo, e rilanciarne l’importanza, la dignità. Costruire il nuovo non solo dal nuovo, ma anche attraverso la ricostruzione di ciò che sembrava obsoleto, dimenticato.

Questo doveva valere anche per l’Uomo nella sua meravigliosa complessità, quindi costituiva per me personalmente una chiave di lettura decisiva in quanto la mia professione di terapeuta mi portava a curare persone di ogni ceto sociale, e diveniva una precisa indicazione persino rispetto all’attività diciamo così “artistica” nella quale sempre più mi sentivo impegnato insieme ai miei compagni d’avventura. Quindi, anche la ricerca nelle radici della musica popolare, il riutilizzo di sonorità, versi, linguaggi canori “andati” o magari sepolti nel ricordo di pochi, si rivelava assonante con il resto della nostra pratica giornaliera e col tentativo di esserne coerenti.

 

Il mix tra canzoni di questo tipo, brani originali e monologhi risultava – se possibile – ancor più paradossale ed interessante, ancorché ermetico. Il gioco delle voci apportava allo spettacolo un livello qualitativo notevole, in quanto tutti e quattro avevamo esperienza e autonomia nella pratica solista, quindi in ogni canzone era tutto un prender la scena e cederla, sostenere gli altri ed esserne sostenuti; l’effetto si rivelava molto piacevole e imprevedibile all’ascolto.

“Amore, mi manchi…” vide l’inizio della collaborazione di Mario Negrini col Gruppo Teatro.

La dicitura ufficiale lo definiva quale tecnico del suono; in realtà Mario è stato ed è tuttora motivatore, accompagnatore tecnico,“risolutore”.

Un vero artista fuori scena, quasi una sorta di “quinto Beatle” quasi sempre estraneo alla ribalta, ma vero garante affettivo della vita successiva del Gruppo, fino ai giorni nostri.

Anche Pier Tateo, che aveva partecipato alla prima edizione de “La Cerca del Graal”, rientrò in Compagnia come tecnico luci, prezioso amico e compagno di tante chiacchierate nei nostri trasferimenti con l’auto carica di materiale.

 

Il terzo spettacolo della “trilogia” nella forma del teatro/canzone fu:

 

 

Sette Sogni

 

Ancora sette monologhi (i sette sogni), ed ancora l’intento del mescolare generi e sonorità, da Vinicius de Moraes ai Tarantolati di Tricarico. Riproposi la formula delle quattro voci soliste, con l’ingresso di Marco Lupo al posto di Gianni Ferrario, il quale proseguì la propria personale ricerca nel campo del Grammelot e della terapia della risata producendo corsi, conferenze e spettacoli di ottimo livello (uno tra tutti: Tapirulant, con la presenza di musicisti del calibro di

Gianni Albertihttp://www.piccolaccademia.info/collaboratori/gianni-albertial sax

e Matteo Morettihttp://consno.it/docenti-s/39-it/curriculum/159-moretti-matteo-it.htmlalle percussioni e marimba).

 

Marco Lupo possedeva talento per il talento. Magari non rivelava un’eccellenza bruciante in un ambito specifico, ma sapeva fare tutto al livello che serviva per dare un’impronta speciale.

Una bella voce, la capacità di muoversi in scena con passi da disco-music, una mimica surreale ed esilarante, doti acrobatiche, uso della maschera; insomma un animale da palcoscenico, tanto che ci capitava a volte di fermarci ammirati a guardarlo correndo il rischio di perdere il ritmo.

La parte musicale ci vedeva ancora impegnati nell’uso di percussioni varie da mescolare con la chitarra di Arcangelo Giordano, ma Sette Sogni portò come grande novità il ritorno tra noi di

Walter De Mattia alle tastiere e l’inizio della sua piena esistenza nel Gruppo Teatro Devadatta. 

 

Anche Walter possedeva talento per il talento.

Un musicista, davvero; si poteva dargli in mano qualsiasi strumento, lui sapeva cosa farne,  ne era attratto e gli strumenti erano attratti da lui. Certo, una personalità completamente diversa, tanto Marco prendeva la scena e rubava l’occhio dello spettatore, così Walter occupava ogni pertugio lasciato scoperto nello spettacolo dandogli la coloritura adeguata.

Nel modo col quale Marco “strappava” e imponeva nei suoi interventi delle vere e proprie accelerazioni,  Walter accompagnava gli interventi di ognuno, garantendo sempre la “copertura” opportuna ed alzandone il livello e la qualità.

Nel Gruppo Teatro e nello stesso Movimento ci abbiamo messo molto a capire il valore della presenza discreta, poco rumorosa e per nulla arrogante di alcuni di noi; e la delicatezza, la fragilità, la tenerezza con la quale ci hanno accompagnato, regalandoci ciò che serviva per renderci più vivi.

Walter, finché ha vissuto, è stato questo e tanto altro, ed io qui, a nome di tutti,

ne dò testimonianza.

 

Come i due spettacoli precedenti, anche Sette Sogni andò in scena per un paio d’anni, ancora nei teatri di Torino, Milano, Roma, Bologna, Pinerolo, Casale, Novara, Firenze ecc.

Nel frattempo, si affacciò alla ribalta un personaggio importante della nostra storia.

 

Angelo DeMattia, fratello maggiore di Walter e marito di Luciana Ligios, aveva accompagnato discretamente i primi anni del Gruppo Teatro; in quel tempo si occupava di fotografia, e ci aveva seguito in alcune repliche de “La Cerca del Graal” facendo un vero e proprio reportage che aveva poi assemblato in un audiovisivo veramente notevole. Allo stesso modo, aveva trasformato in audiovisivo moltissime diapositive scattate negli anni da svariati componenti del Movimento, immagini che seguivano nella sua evoluzione la riedificazione di S. Apollinare(http://www.iricostruttori.com/ricerca-nelle-regioni/piemonte/san-apollinare-casalbeltrame),

un complesso templare diroccato sito nelle risaie di Novara, il primo grande impegno di ricostruzione del gruppo.

Entrambi i lavori denotavano una sensibilità artistica notevole la quale, come scoprimmo ben presto, aspettava solo l’occasione per manifestarsi. Il primo riscontro “pubblico” all’interno del nostro ambiente avvenne proprio a S. Apollinare, dove ci eravamo riuniti per la notte di Natale.

Avevo chiesto ad Angelo di inframmezzare le altre cose che erano state preparate per la veglia con un recitato napoletano, e lui aveva scelto la celeberrima poesia di Totò: ‘A livella.

C’erano circa duecento persone nella sala della cascina, tutte sedute per terra, quindi in una situazione non proprio di comodità e di attenzione, eppure, quando Angelo si alzò e cominciò a declamare in napoletano, si fece silenzio.

Mi incuriosì molto il modo col quale, nonostante l’emozione, aveva immediatamente catturato l’attenzione del pubblico, ed ebbi modo di valutare la gestualità con la quale accompagnava il testo, tra l’altro un testo molto lungo, per nulla semplice da mandare a memoria; ricordo che non lesse una parola e non ebbe nessuna esitazione, nemmeno di fronte a duecento persone.

A me, che avevo la responsabilità e la conduzione del Gruppo Teatro Devadatta, verificare “sul campo” la forza potenziale di un simile talento pose immediatamente degli interrogativi. Nella vita privata molti di noi componenti il Gruppo Teatro ci frequentavamo assiduamente, i nostri bambini crescevano insieme, insomma si faceva vita molto comune, perciò c’era modo di passare in compagnia feste, vacanze, momenti privati e collettivi; in quelle occasioni Angelo De Mattia era un vero turbine di aneddoti, frizzi, motti e lazzi, e la stessa Luciana non si dimostrava solo la cantante di qualità per le canzoni d’autore che avevamo conosciuto nei primi tre spettacoli ai quali aveva partecipato, ma cantava in dialetto, faceva molto bene da spalla al marito nelle sue citazioni umoristiche e ne proponeva di proprie. Anche Arcangelo Giordano quando in queste occasioni di vita comune prendeva la chitarra, esprimeva tutto un suo retroterra umoristico “popolare” che emergeva prepotente e si integrava benissimo con quello di Angelo e col nostro.

 

Insomma, pensando a come utilizzare e dare spazio ad una personalità del genere, mi vennero in mente due progetti molto distanti tra loro come concezione e difficoltà di realizzazione, ma che costituirono una svolta ulteriore per tutti noi, e per la storia del Gruppo Teatro.

 

 Il primo fu:

 

Inserti a crepapelle  

 

Il titolo ci fu suggerito da Carlo Reali, un amico di Melegnano che teneva spettacolini di equilibrismo, pantomima e clownerie. Inserti a crepapelle poteva ben definirsi uno spettacolo di cabaret, anche se si trattava in realtà di un caotico stralunato guazzabuglio di canzoni, parodie del teatro classico, sketch, macchiette napoletane, brani e interventi (degli inserti, appunto) assemblati in modo paradossale ma estremamente umoristico.

La struttura dello spettacolo permetteva di poterlo presentare in grandi teatri come in piccole sale, nelle cascine come in auditorium; fu un grande successo, ovunque andammo a rappresentarlo, per un lungo periodo.In scena, Arcangelo Giordano, Angelo De Mattia, Walter De Mattia, Luciana Ligios, Marco Lupo ed io.

 

Il secondo progetto ci portò via un paio d’anni di preparazione; si trattava di una Commedia che avevo ideato e scritto prendendo molto liberamente spunto da una favola di Andersen che molto avevo amato da bambino, e che dava il titolo al lavoro:

 

 

 

 

Il Compagno di viaggio

 

Affidai il ruolo di protagonista (tale “Antonio Piasapia, ciabattino!”) ad Angelo De Mattia, senza alcun dubbio l’interprete ideale intorno al quale cucire la sceneggiatura e tutto l’andamento della Commedia. Inizialmente avevo pensato di poter tenere per me esclusivamente il compito della regia, ma dopo aver verificato diversi candidati rivelatisi inadatti, mi decisi ad assumere anche la parte del Compagno di viaggio, ruolo complesso e non proprio adatto alle mie corde, ma che cercai di interpretare in modo credibile.

La Commedia prevedeva (sulla falsariga della Cerca del Graal) balletti, coreografie, costumi, addirittura attori recitanti con maschere della Commedia dell’Arte, “cover” di canzoni registrate come filo conduttore alla vicenda. Insomma, ci trovammo nuovamente catapultati nella difficoltà di un lavoro veramente imponente, con alcuni attori residenti a Milano, una all’Abbazia di Staffarda, un’altra a Casale Monferrato, tre sarte/costumiste di Pinerolo, due scenografi di Biella.

Trovare occasioni di incontro costituiva un vero gioco d’incastro, quindi i due anni di lavoro furono veramente intensi, problematici, quasi un percorso ad ostacoli che non ci abbandonò nemmeno la sera della Prima, al Teatro della Madonna Pellegrina di Novara, quando per un errore del gestore  (che aveva concesso il teatro ad un’altra Compagnia, oltre alla nostra) dovemmo all’ultimo momento cambiare orario, e passare dalla programmazione serale (peraltro pubblicizzata pertutto il mese in città e fuori) a quella pomeridiana (alle 16.30) con l’obbligo di terminare puntualissimi entro un orariorigidamente definito e di smontare in fretta e furia per lasciare spazio all’altra Compagnia. Insomma, un preludio veramente scioccante, tanto che qualcuno di noi propose di rinunciare e spostare la data del debutto; comunque, tenemmo duro, e ci preparammo ad andare in scena nel giorno prefissatopur tra molti dubbi e scricchiolii emotivi. 

La notte che precedeva la Prima, sognai di essere all’Oratorio salesiano dove avevo passato la mia infanzia, a Valdocco; ero nel grande cortile col campo da calcio, il passa volante e il campo da basket, e passeggiavo da solo, quando mi venne vicino un vecchio sacerdote che quando ero bambino ci insegnava i canti degli alpini e tante altre canzoni per ragazzi. Io lo salutai con molto affetto, contento di vederlo, anche perché era in maniche di camicia e d’aspetto molto più giovane di quando l’avevo conosciuto; nel sogno mi chiese come stavo, ed io gli dissi tutto orgoglioso che dal tempo della mia infanzia avevo continuato a cantare, che ero diventato abbastanza bravo da farlo in pubblico e addirittura l’indomani avrei debuttato in teatro con una Commedia! Allora lui mi prese da dietro, abbracciandomi e, tenendo le mie braccia nelle sue braccia, mi cullò lentamente facendomi oscillare da destra a sinistra ripetendomi: “…bravo!...bravo!!...”.

Non so come, ma quel sogno mi sembrò un buon auspicio; il giorno dopo lo raccontai a tutta la Compagnia riunita, e partimmo alla volta di Novara, un po’ più sollevati.

Lo spettacolo, pur ad un’ora così poco canonica, si fece.

Buona parte del pubblico, che in qualche modo era venuto a sapere tramite passa parola della variazione, affluì inteatro, e noi andammo in scena. Era il sabato 4 marzo del 1995.

 

La Commedia vide il ritorno nel Gruppo Teatro Devadatta delle sorelle Elisa Eusebio ed Alessia Eusebio, di Deborah Marincola, Carlotta De Alessi, di Nicoletta Strada, Antonella Bertelli e dei già citati Marco Lupo e Carlo Reali. Replicammo lo spettacolo per tre anni circa, con puntate a Brescia, Torino, Lonato, Milano, Casale Monferrato, Pinerolo, Aosta e varie altre città

Se Inserti a crepapelle lo aveva visto muovere i primi passi sul palco, e Il Compagno di viaggio l’aveva consacrato protagonista di una Commedia ben più impegnativa, nella seconda edizione di

 

 

Inserti a crepapelle 2

 

Angelo De Mattia prese per la prima volta in carico anche il ruolo di regista.

Io mi ero occupato di approntare un canovaccio abbastanza in linea col precedente, solo più ricco di brani d’insieme d’epoca (dal Quartetto Cetra a Frank Sinatra) e di parodie e macchiette napoletane (da Nino Taranto a Vittorio Marsiglia); il tutto però risultava troppo in linea con lo schema già percorso con la prima edizione, così Angelo prese in mano il tutto rielaborandolo e connotandolo con intermezzi anche brevissimi e fulminanti, scenografia d’epoca, ed un umorismo incalzante che dava allo spettacolo un ritmo molto intenso e agli interpreti in scena una valorizzazione personale e d’insieme che non sarebbe stata possibile rimanendo nello schema precedente. Un gran bel lavoro, davvero.

Gli attori/cantanti/musicisti in scena erano Arcangelo Giordano, Luciana Ligios, i fratelli De Mattia,  e infine Carmela LigioseMarco Araldi, che facevano così il loro rientro nel Gruppo.

Lo spettacolo venne proposto nei teatri e nelle sale delle città da noi già percorse con altri spettacoli, e in molte altre occasioni; ebbe una vita lunga, che continuò anche in modo estemporaneo, a richiesta, negli anni successivi.

Intanto, nell’ultimo periodo di repliche de “Il Compagno di viaggio”, mentre era ancora nel suo pieno vigore “Inserti a crepapelle 2”, un gruppetto di giovani musicisti stava lentamente lavorando ad un progetto molto diverso rispetto a quelli descritti sino ad ora. Si trattava da parte loro di un grande lavoro di ricerca sulla poetica della musica brasiliana d’autore, della corrente detta “Tropicalismo”https://it.wikipedia.org/wiki/Tropicalismo.CaetanoVeloso, Ivan Lins, Milton Nascimento, Djavan; insomma, i grandi innovatori della tradizione musicale brasiliana, eredi di Vinicius De Moraes, di Chico Buarque de Hollanda e di Elis Regina. Come molti di noi, ero praticamente a digiuno di conoscenze nel merito, e quel tipo di musica ad un primo impatto mi disse veramente poco; Giovanni Maiandi mi introdusse con molta pazienza, dandomi da ascoltare qualcosa dell’uno e dell’altro autore. Dopo pochi mesi di ascolto  ne fui conquistato al punto da approfondire poi a mia volta tutto ciò che si collegava e proveniva da quel Movimento il quale, come scoprii, non era solamente una variabile musicale, ma una autentica rivoluzione “culturale”. Giovanni non era solo un ottimo bassista e chitarrista in continua evoluzione; scriveva poesie, testi e canzoni, e ideò, assemblò e mise in scena dopo un lungo e faticoso rodaggio uno spettacolo musical/teatrale molto innovativo e raffinato:

 

 

La Zingara e il pozzo

 

Per la parte strumentale, ci si avvalse di Francesco Dal Piaz alle tastiere, Alessandro Fassial basso, Fabio Faustini alle percussioni, Roberto Fassialla batteria (praticamente subito sostituito da Fabio Mangolini), Giovanni Maiandi alla chitarra.

Le voci erano di Guido Bergoglio, Alina Tringali e Anna Maria Granato; la voce solista di Deborah Marincolahttp://www.farmalem.it/sites/farmalem.it/themes/files/TM/profili/deborah.html.

La voce recitante i testi scritti da Simona Bargetto e dallo stesso Maiandi fu di Carola Campana 

(http://www.shanti-vana.it/upload/0111201022.17.49.pdf ), doppiatrice e attrice di cinema e teatro, danzatrice e finissima interprete di movimento e respiro nello spazio.

Lo spettacolo debuttò nel dicembre 1996; purtroppo non ebbe la visibilità e la durata che avrebbe meritato per le difficoltà che uno spettacolo di tale complessità comportava, dagli spostamenti alla frequenza delle prove necessarie per il mantenimento di una struttura e di un ensemble così variegato. Personalmente, si tratta di uno degli spettacoli creati nell’ambito dei trent’anni di vita del Gruppo Teatro che più mi ha “toccato” ed emozionato, che molto mi mancano e che vorrei avere la possibilità di rivedere.

 

Giovanni collaborò attivamente anche allo spettacolo di Gianni Ferrario:

 

Mi ci butto!

 

che era nato come performance di due artisti in scena, Gianni Ferrario, appunto, e Marco Lupo, che cominciò proprio allora a cimentarsi con clownerie, giocoleria, acrobazia e pantomima. Un buonissimo spettacolo, che continuò in questa veste per qualche tempo, per proseguire poi in una nuova veste, più elaborata e “musicale”. A questa versione lavorarono i musicisti Gianni Alberti, Paolo “Trombolo” Antognetti (in doppia veste di trombettista e tenore), Maria Pia Carola, Marco Brovarone (baritono), Alessandro Fassi.

L’ensemble eseguì brani di Paolo Conte, qualche standard jazz e due estratti del Barbiere di Siviglia, a fare da contorno ai monologhi in italiano e in grammelot di Gianni Ferrario.

La replica“top” si svolse al teatro Wagner di Milano, molto ben riuscito e con un grande successo di pubblico. Il periodo è intorno al 95, e le repliche durarono più di un biennio.

 

Dopo aver debuttato da protagonista ed aver mosso i primi passi da regista, il passo successivo per Angelo De Mattia fu elaborare “in proprio” dei lavori teatrali. Si può proprio dire che “il Compagno di viaggio” rappresentò l’ideale spartiacque oltre il quale il Gruppo Teatro Devadattavide aprirsi al proprio interno un ulteriore “filone”, nel tempo sempre più autonomo e connotato.

Già il lavoro di Giovanni Maiandi del quale ho parlato aveva costituito un arricchimento notevole della vena artistica del Gruppo, ma da quel momento in poi Angelo prese poco alla volta il ruolo ed il carisma di “capocomico”, impegno che comportava l’ideazione di progetti, la scelta e la formazione dei collaboratori, l’organizzazione conseguente alla successiva messa in scena (prove, materiali, ricerca delle sedi ecc.).

Se il sogno iniziale di ogni “vocazione” è quello di esprimersi, realizzarsi e crescere, quello successivo è quello di “generare”. Confesso quanto il veder nascere uno slancio ideativo così evidentemente originale ed autonomo sia stato per me personalmente un’esperienza molto consolante e gratificante, un segno di fecondità del percorso da noi tutti intrapreso.

 

Da questo momento, la presente narrazione della storia del Gruppo Teatro Devadatta proseguirà nel modo seguente: continuerò a descrivere in ordine cronologico avvenimenti, premesse e nuove produzioni, citando l’Opera di Angelo De Mattia come l’ho personalmente conosciuta, prendendomi la libertà non certo di “spiegarla” a chi legge, quanto di descrivere l’impatto che mi ha provocato di volta in volta nella veste di “fruitore”.

Angelo stesso, nelle pagine relative ad ogni spettacolo alle quali rimandano i “link” dei quali è disseminato questo mio lavoro, spiegherà per ogni sua “creatura” i motivi, le premesse e le pieghe dell’Opera sua, fino ai giorni nostri.

 

Oramai, le cose avevano preso una piega quasi tumultuosa.

I progetti si aggiungevano ai progetti; durante i tre anni di repliche de Il Compagno di viaggio avevo intrapresa la scrittura di una seconda Commedia, che avevo ambientato in Francia, alle porte di Parigi. Immaginavo una Compagnia di guitti, teatranti, giocolieri e saltimbanchi i quali, nel tempo a cavallo tra la fine dell’800 e gli albori del ‘900, partivano per la Francia per portare al pubblico d’oltralpe non un repertorio italiano, quanto paradossalmente un repertorio francese da mostrare a francesi. La Compagnia si accampava alle porte di Parigi in attesa del ritorno del capocomico (il Grande Giano), che li aveva preceduti in città per cercare contatti e organizzare la tournee. Il capocomico non faceva più ritorno, e nei tre mesi successivi la Compagnia continuava le prove in sua assenza, senza notizie e con una angoscia crescente, mostrando crepe all’interno e progressiva perdita di significato.

La Commedia intendeva mettere in scena questo travaglio, ed il mio intento (nel tempo che stavamo attraversando, a cavallo tra il 1999 e il 2000) era di proporre a tutti noi (attori e spettatori) una sorta di interrogativo per tutte le situazioni analoghe nelle quali la piena giustificazione di un grande progetto veniva affidata totalmente al grandissimo carisma di una guida (in quel caso un capocomico, appunto).Diedi al lavoro il titolo:

 

 

Les Portes Imaginaires 

 

Alcuni degli attori che avevano partecipato con me a “Il Compagno di viaggio” confluirono nel progetto (Carlo Reali, Carlotta De Alessi, Elisa Eusebio, Nicoletta Strada, Alessia Eusebio ed io); i nuovi ingressi furono: Marco Becchio, Chiara Bono, Maria Luisa Papurello, Resi Bracci, Massimo Borgno e Carlo Eusebio.Dodici attori/musici/cantanti/giocolieri che portarono in scena quest’opera così complessa al meglio delle loro possibilità. La scenografia (i carrozzoni) fu costruita da Diana Callea, mentre il gigantesco telo che faceva da sfondo e che rappresentava una campagna francese luminosa come un quadro di Van Gogh, fu concepita e dipinta in modo mirabile da Bruna Corrado e Angelo De Mattia. La Commedia fu rappresentata per circa tre anni nei teatri del nord-Italia, spingendoci inoltre a Firenze, Lucca e soprattutto a Roma, nel 2000, anno del Giubileo.

 

Nel 1999 videro la luce due lavori, con destini diversi;

il primo di questi lo elaborai mescolando alcuni monologhi di mia produzione con un paio di monologhi di Giorgio Gaber, immaginando che la voce recitante fosse una sorta di filosofo frequentatore di un antico Caffè di un ipotetico centro città. In scena (quindi all’interno di questo Caffè), un’orchestra stile anni ’50, qualche tavolino con avventori, e questa figura un po’ retrò al tempo stessocommentatoreefustigatore del pensiero corrente. Il titolo fu:

 

 

Al “Wittgenstein Café” – equazioni e dolcezze per filosofi e Orchestra 

 

L’idea di fondo era buona, anche ad una visione molto più a posteriori, ma l’abbinamento dei brani recitati e la scelta delle canzoni già da subito mostrò un po’ dei limiti, e così la mia regia, nonostante l’ottimo lavoro di Elisa Eusebio, che si occupò della coreografia in generale e dei movimenti di scena delle voci soliste e coriste rendendo il tutto molto meno prevedibile.

La figura recitante fu impersonata da Fabio Faustini; l’Orchestra era composta dai musicisti che già avevano lavorato nello spettacolo di Giovanni Maiandi “La Zingara e il pozzo”, quindi Francesco Dal Piaz, Alessandro Fassi, Guido Bergoglio, Anna Maria Granato e lo stesso Maiandi, ai quali si aggiungevano Fabio Mangolini, Enrico Laguzzi, Serena Ricci e Luciana Ligios come voci.

Debuttammo al Teatro Valdocco di Torino e proseguimmo con qualche replica (poche, in verità), poi per varie vicende lo spettacolo faticò a decollare, si esaurì e concluse la sua avventura.

 

Ben altra riuscita ebbe lo spettacolo che Angelo De Mattia estrasse dal suo cilindro occupandosi della tradizione umoristica ebraica; fece uno studio approfondito sul teatro diMoniOvadia ed altri narratori, portando in scena e interpretando:

 

Il sorriso dello Spirito – l’umorismo nel mondo ebraico

 

Si tratta di un insieme di storielle, narrazioni e aneddoti tradizionali che aprono finestre alla comprensione di un “humus” anche spirituale molto affascinante e che necessita di approfondimento e curiosità. Un Umorismo molto raffinato perchè insegna a ridere di noi stessi, a non prenderci troppo sul serio e questa è una risorsa salvifica perchè aiuta a sopportare il quotidiano con le sue pene e i suoi affanni. Lo spettacolo è inframmezzato da canzoni di Noa, famosa artista israeliana, interpretate dalla voce di Luciana Ligios con la chitarra di Giovanni Maiandi.

Il debutto avvenne nel 1999, ma le repliche, molto fitte nei primi anni, continuano episodicamente ancora oggi, sedici anni dopo.

 

Esauritosi il tempo di “Al Wittgenstein Cafè”, continuammo con le repliche de LesPortesImaginaires, fino a tutto il 2001, poi mi dedicai ad un’idea della quale parlerò più avanti.

Nel frattempo, Angelo De Mattia stava lavorando alla sua prima Commedia (che sarebbe poi andata in scena nel 2004), ambientata nella Napoli del primo dopoguerra, il cui protagonista si chiamava don Felice Tornasole, impresario capocomico di una Compagnia sotto l’illuminata“protezione” di don Raffaele Viviani, mentore e riferimento di don Felice, il quale, durante la sua assenza dovuta ad un lungo soggiorno in America, sembrò ad un certo punto far mancare allo stesso don Felice non solo la sua presenza, ma soprattutto la sua “benedizione”. La Commedia mette in scena la storia della “resistenza” di don Felice sotto i colpi della persecuzione di Antonio Musco, impresario di un teatro equivoco, torbido, e proprio per questo impegnato a far vacillare la pulizia morale ed artistica di Tornasole; la stoica fedeltà di don Felice all’Utopia di un Teatro “etico”, e la propria accettazione nel vedersi trascinare nel gorgo del disfacimento di tutta l’Opera sua, fino all’apparente fine di tutto, la povertà, la prigione.

E la vita che riprende, misteriosamente, quando Don Felice solo, stanco, sconfitto dopo la carcerazione e la fine della Guerra, torna in quello che restava dell’Eden Teatro e, con un gesto per lui abituale anche dopo tanti anni, apre la porta.

 

 

 

“…E adesso, rido io!!!...”      

 

La fine e il principio, resistenza e resa, morte e resurrezione.

Davvero i temi cardini della nostra comune esistenza, descritti da Angelo e percorsi per noi in un prologo, due atti ed un epilogo con l’aiuto di Luciana Ligios, Pier Tateo, Mauro Tessitore, Carmela Ligios, Vito Suriano, Fabio Faustini, Antonella Bertelli, Piergiorgio Placentino, Anna Maria Granato, Enrico Cerato, Roberta Seren-Rosso e, per la prima volta in scena nella parte del Delegato Governativo, Mario Negrini. Altri subentrarono nel tempo, in sostituzione dell’uno o dell’altro: Leonardo De Pilla, Daniela Bertello e FabioMangolini, permettendo alla Commedia di proseguire e completare il proprio percorso.

 

Come dicevo, dopo la chiusura de: “Al Wittgenstein Cafè” ripensai con attenzione alla formula del Teatro/Canzone; lo vedevo indubbiamente sempre più come una grande risorsa, da usare con forza e delicatezza ad un tempo. Con la trilogia Caleidoscopio, Amore mi manchi e Sette Sogni avevo sperimentato me stesso come autore, ricalcando le orme di un grande affabulatore come Giorgio Gaber, dicendo in prima persona ciò che credevo opportuno dire, in una “chiave” più simbolica, nascosta, quasi surreale. E – sull’esempio dello stesso Gaber - prendendomi la responsabilità di sostenere ciò che dicevo, contenuti che potevano venire condivisi o meno, apprezzati o assolutamente contestati, ma che “smuovevano” e stimolavano interrogativi.

Il tempo storico nel quale vivevamo (nel decennio post-caduta del Muro di Berlino) imponeva sempre più di “scendere in campo” per testimoniare qualcosa che per me, sinteticamente, veniva rappresentato dal riconoscere il primato della coscienza e della Verità. Artisticamente, e sempre nell’ottica di non “predicare” ma parlare per analogia ed assonanza, mi resi conto ancor meglio della grande forza profetica del Teatro di Gaber, e della tenerissima implacabile comprensione per l’Uomo (qual egli stesso si riteneva) contenuta all’interno dei suoi testi, Uomo che si accingeva a condannare, fustigare, lacerare, ma per ancora e sempre ricostruire.

Così, decisi di scandagliare qualcosa della sua Opera, prendendomi la libertà di “usare” ciò che mi serviva per dire ogni volta ciò che mi stava a cuore, usando la sua ispirazione per “armare” la mia ispirazione. Ancora una volta, edificare qualcosa di “nuovo”recuperando mattoni magari già usati (per altre costruzioni ormai meno frequentate),in questo caso l’opera di un altro autore dotato di talenti ben diversi ma con in comune un fuoco bruciante di quella Utopia di Giustizia, che al di là di parole e canzoni ho sempre considerato la vera eredità che Giorgio Gaber ha lasciato, a me e ad ogni essere umano in ascolto.Intitolai lo spettacolo in questo modo:

 

 

G. and G.– Salti di coscienza musical/teatrali presi a prestito da Giorgio Gaber 

 

Pensai che sarebbe stato meglio non muovermi in scena da solo; proprio perché non volevo che si pensasse ad un “tributo”, o un surrogato. Il confronto con Gaber non era a parer mio sostenibile da una sola persona, perciò chiesi ad Arcangelo Giordano di affiancarmi.

Fisicamente (altezza, tratti somatici) eravamo e siamo molto simili; nella nostra vita privata venivamo spesso presi per fratelli, e non di rado l’uno veniva scambiato per l’altro, anche da parte di pazienti che frequentavano l’ambulatorio dove lavoriamo entrambi; quindi mi venne l’idea di proporre sul palco due G. vestiti uguali, voci recitanti e cantanti alternativamente o contemporaneamente sul palco.

Con noi, musicista in scenae autore delle basi musicali,Walter De Mattiaalle tastiere.

Il nostro lavoro andò in scena per la prima volta nel 2000; la formula riuscì molto bene, tanto che lo spettacolo venne replicato a lungo, e, per così dire…figliò, dando il via nei quindici anni successivi (ai giorni nostri) ad altri tre lavori dello stesso genere rappresentati in tutta Italia, con puntate a Milano, Bergamo, La Spezia, Roma, Firenze, Terni e Catania.

 

 

 

Il corpo stupido  - dialoghi d’inizio secolo tra i signori G. e G.     

 

Ancora con Walter De Mattia, autore delle basi alle tastiere;Arcangelo Giordano e Mario Coppotelli in scena. In replica dal 2004 al 2007.

 

 

L’illogica allegria – i paradossi della coscienza e la coscienza del paradosso

 

Con le basi e le tastiere di Walter De Mattia, sostituito nel 2008 come violinista ed estemporaneo cantante e voce recitante da Francesco Coppotellihttps://www.facebook.com/pabloeilmare

In replica dal 2007 al 2011; episodicamente, sino al 2014.

 

 

Eppure sembra un Uomo - dialoghi tra un Giorgio Gaber e un …non so.- 

 

Con Arcangelo Giordano, chitarra e primo “G.”,  Mario Coppotelli secondo “G.” e Francesco Coppotelli al violino, episodica voce recitante e voce solista. Le basi musicali sono di Lillo Giordano, autore di alcune delle musiche de “La Cerca del Graal”.

La locandina, per l’occasione (la prima di altre), è elaborata su una fotografia di

Gabriele Coppotelli.  https://www.flickr.com/photos/malandrodafotografia/

In replica dal 2012 ai giorni nostri.

 

Nel corso del 2000, lavorando alla Commedia “Les Portes imaginaires”, avevo sempre più recuperato la mia antica passione per la musica francese del primo e secondo dopoguerra.

Concepii così due progetti“assonanti” ma di tipo completamente diverso.

Il primo lo ambientai nella Marsiglia del 1930.

 

Immaginai una vicenda dipanata nell’arco di cinquanta anni, con un protagonista rappresentato in scena da ragazzo e in vecchiaia. La storia narra della grande amicizia tra due ragazzi,

Renè Des Anges e Tino Rossi (figura autentica, grande cantante corso) e della sconcertante e paradossale “ascesa” di entrambi nella realizzazione dei rispettivi sogni.

Era la mia terza Commedia, e la intitolai:

 

 

Renè Des Anges– l’ascesa irresistibile di un piccolo marsigliese 

 

La Compagnia che misi in piedi era formata da alcuni ragazzi dai sedici ai diciotto anni, e pochi adulti. Si trattava ancora una volta di una Commedia musicale, a questo scopo Elisa Eusebio ideò coreografie e balletti di un certo livello, che noi tutti cercammo di eseguire in modo almeno sufficiente; i ragazzi attori/ballerini furono Gabriele Coppotelli, Michele Ligios, Maria Chiara De Mattia, Valentina Patti, Cristian Mazzotta, Gianluca Marincola, con Francesco Coppotelli che interpretò il giovane protagonista. Affiancarono in scena il manipolo di attor giovani Maria Luisa Papurello, la stessa Elisa Eusebio poi sostituita dopo la prima esecuzione da Carlotta De Alessi, Roberto Buffa ed io, che interpretavo RenèDesAnges da vecchio. La presenza nella compagnia di un padre e di un figlio (Francesco ed io) per giunta molto simili e “riconoscibili”, mi permise di rendere credibile l’interpretazione dello stesso personaggio da parte di due persone diverse.

Walter De Mattia realizzò le basi delle canzoni, che registrammo nello studio di Enrico Messina.

Le costumiste furono le due fuoriclasse del Gruppo Teatro: Rosa Moriondo e Rosalba Martin.

Della scenografia si occuparono Delio Martin, Angelo De Mattia e Bruna Corrado, che si prese il carico  ulteriore di sostituire come ballerina e caratterista Valentina Patti(la quale lasciò la Compagnia poco prima dello spettacolo previsto al Teatro Civico di La Spezia), imparando passi e posizioni in quattro giorni con ottimo risultato, tanto che rimase tra noi per le successive repliche.

La Commedia non ebbe vita lunga, proprio per la difficoltà di assemblare ragazzi in crescita e con impegni sempre più differenziati; furono però “anni vissuti intensamente”, per parafrasare il linguaggio cinematografico, e moltoformativi per tutti noi.

 

Contemporaneamente, iniziai a lavorare al secondo progetto, una serata musicale, quasi un Concerto per due voci e pianoforte; pensai così di utilizzare qualcosa del repertorio di Jacques Brel, di Montand, di Edith Piaf e Barbara, i grandi chanchonniers del ‘900 europeo.

 

Chiamai lo spettacolo:

 

 

Cherchez l’Esprit!!       

 

Scrissi quattro brevi “inserti” poetici per intervallare alcune delle più belle canzoni di questi autori, assemblando il tutto in modo da suggerire al pubblico un’intima curiosità, una “ricerca” tra le pieghe della parola ispirata, del verso cantato e recitato.

La voce femminile che accompagnò la mia fu di Luciana Ligios, e avemmo il privilegio di essere sostenuti da due amici professionisti: la pianista Elena Strati http://www.jardinmusical.ch/docenti/27-strati-elenache elaborò le partiture, e dal violinista

Luca Morettihttp://www.amicidellamusicamilano.it/artisti/m/LucaMoretti.html , musicisti di Como. Lo spettacolo replicò in teatri, sale, auditorium in varie parti del nord-Italia, sino  al 2006, quando ci dedicammo ad un ulteriore lavoro sul genere di “Cherchez l’Esprit”, aggiungendo al repertorio degli chanconniers francesi che ho nominato, anche brani del più “francese” dei nostri artisti: Paolo Conte.

 

Per il nuovo spettacolo il nostro quartetto si completò con Giovanni Maiandi al basso e alla chitarra, in quanto i brani di Conte introdotti avevano una “modernità” della quale tener conto, e Giovanni introdusse le variabili opportune. Luciana ed io ci alternammo come voci soliste e tentammo di dare il nostro contributo ai musicisti con qualche percussione.

Il titolo che diedi, parafrasando una canzone di Paolo Conte, fu:

 

 

Poesia per i vostri piedi, Madame!! - Cenni e richiami dai laghi bianchi del silenzio 

 

Madame, la “Signora”, citata nel titolo voleva essere la destinataria ideale del nostro canto e della nostra parola; a questo scopo elaborai quattro scritti da alternare alle canzoni, quattro punti cardinali, quattro stagioni, quattro segni, utilizzando estratti de:

La Signora delle Vigne di GhiannisRitsoshttp://www.treccani.it/enciclopedia/ghiannis-ritsos/,

poeta greco a me carissimo, che mescolai con immagini, suggestioni e scritti presi da una mia raccolta di poesie: Oscillazioni. Il risultato diede a me personalmente un gran senso di “compimento”, e portammo in scena questo nostro lavoro per qualche anno, sino al 2009 circa.

 

Nel 2003 Carlo Reali scrisse e curò la regia di una Commedia in due atti:

 

 

Il dono di Amira – Un viaggio magico con la luna

 

Con la presenza sul palco di Marco Lupo, Flavio Pizzocolo (Nebia), Adriana Profita,  Maria Monitillo e Paolo Gelfi. Le scenografie di Fiorella Zulian vennero realizzate dalla stessa Fiorella e da Adriana Profita, Alberto Gatta e Denise Benci. I costumi furono realizzati da Rosa Pace, Pinuccia Rossoni, Anna Gentile.

La Commedia meritava ben altra fortuna, ma dopo la prima esecuzione non poté proseguire per la malattia di uno degli attori, e la defezione di altri avvenuta, per impegni sopraggiunti, nei mesi successivi.

 

Abbiamo lasciato Angelo De Mattia alle prese con “L’umorismo ebraico” e le repliche della Commedia “…e adesso rido io!!...”. Negli anni successivi, dal 2004 al 2008, diede vita a due lavori diversi ma, a parer mio, complementari.

Il primo che descrivo ha titolo:

 

 

Anema e core  

Voci e suoni dal Carosello Napoletano

 

Si tratta ancora Napoli, nella sua tradizione musicale, poetica e teatrale più amata, in Concerto, con due artisti d’eccezione:

al pianoforte, Maria Pia Carola (http://www.mariapiacarola.com/homepage.html), e, come

voce solista, il tenore Paolo Antognetti (http://www.stephensartists.com/artists/antognetti.html);

voce recitante, Angelo De Mattia.

 

Il secondo lavoro attinse al teatro e all’Opera di Eduardo De Filippo e proprio di una poesia di Eduardo prese il titolo:

 

 

Currenno - interno Eduardo e dintorni 

 

In “Currenno” l’incontro di Angelo con Napoli divenne molto più intimo e appassionato; da sempre aveva interpretato brani di De Filippo (il lungo monologo Vincenzo De Pretore), ma non aveva ancora preso in carico così dichiaratamente l’Opera e la Poetica di Eduardo.

Non molti interpreti, nel Teatro cosiddetto “ufficiale”, hanno potuto misurarsi con i testi Eduardiani e a pochi lui stesso l’ha concesso, finché è stato in vita; la difficoltà non stava solo

nell’ “imitare” con maestria un modo di recitare, dei movimenti, un equilibrio così naturalmente fine ed espressivo tra la mimica e la parola. Ciò che a parer mio rende poco riproponibile la scrittura di Eduardo sta proprio nel “sacrificio” che l’Attore ha da compiere: la fatica del far proprio il suo proprio sguardo, entrare con lui nel dolore, nella solitudine (penso al monologo di Campese ne: L’arte della Commedia) della Vita e nella sua sconfitta.

Una grande fatica, se fatto con onestà.

Ecco. Come a molti altri tra il pubblico, anche a me che non sono di Napoli e che ho avuto altre radici culturali, musicali e umoristiche, Angelo ha fatto scoprire con il suo lavoro un’ ”essenza” che avevo di certo assaporato come un qualsiasi consumatore (qualche Commedia televisiva o cinematografica, recensioni, poesie sparse o altri inserti), ma che difficilmente si riesce a cogliere senza un interprete, uno di casa, un “traghettatore”.

Per l’occasione, a Vito Suriano e  Luciana Ligios si aggiunsero Francesco Coppotelli al violino, Fabio Mangolini alle percussioni, Enrico Messina alle tastiere, Rita Bracci, violista http://www.architorti.com/artisti.html  che si occupò anche delle partiture.

 

Nel 2006, dopo una delle tre rappresentazioni genovesi de “L’illogica allegria”, una signora del pubblico venne a salutarmi al termine dello spettacolo, chiedendomi se avevo in mente qualcosa su Fabrizio De André. Io le risposi tranquillamente di no. In effetti, non ascoltavo da molto le canzoni di De André, pur essendone un antico estimatore, e non avevo mai preso in considerazione la possibilità di “usare” qualcosa di suo da inserire nei nostri lavori. Chiuso il discorso, caricata la macchina con materiale ed abiti di scena, Walter, Arcangelo, Mario Negrini ed io partimmo a mezzanotte per ritornare a Torino. Durante il tragitto il discorso fattomi dalla signora mi rigirò nella mente per tutto il tempo; la mattina seguente mi svegliai dopo non più di quattro ore di sonno, e mi misi ad ascoltare l’opera omnia in MP3 di Fabrizio De André che un amico aveva regalato a mio figlio Francesco. Passai la domenica alla scrivania con cuffie alle orecchie tra fogli di brutta e scarabocchi. Alla sera lo spettacolo – almeno nelle sue direttrici fondamentali – era fatto.

 

 

 

Smisurata preghiera  – i paradossi d’Amore di Fabrizio De André 

 

Scelsi dalla sua produzione di quarant’anni quattordici canzoni che mi sembrarono adatte al tema che volevo suggerire e che ho descritto come mia abitudine nel pieghevole per il pubblico; due di queste costituivano i perni, un po’ la “chiave” dello spettacolo: ” L’Ottico” e “Anime salve”.

Attorno a queste due canzoni ed alle altre, assemblai una serie di letture e brani recitati estratti da opere di: ChaimPotokhttps://it.wikipedia.org/wiki/Chaim_Potok

Paolo Lanaro http://www.giannigiolo.it/?Scheda_bibliografica%26nbsp%3B:Recensioni:PAOLO_LANARO

Edgar Lee Mastershttps://it.wikipedia.org/wiki/Edgar_Lee_Masters

Aldo Palazzeschi http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=423&biografia=Aldo+Palazzeschi

Riproposi, come finale, il monologo che avevo scritto per il finale de: “LesPortesImaginaires”.

 

Nella prima edizione di “Smisurata preghiera”, Walter De Mattia si occupò come sempre di realizzare le basi musicali; Arcangelo Giordano fu una delle voci soliste e una delle due chitarre in scena, con Dario Cambiano, voce solista e seconda chitarra, Alessandra Aymar, voce solista e voce recitante, Loredana Arcidiacono, voce solista e fisarmonica, e Francesco Coppotelli, violino e voce recitante. Anch’io fui voce solista, percussionista, e la voce recitante nel finale.

Lo spettacolo ebbe una vita molto intensa dal 2006 al 2008, con spettacoli in molte parti d’Italia, Milano, Bergamo, Lodivecchio, Pomposa, Ferrara, ancoraTerni, Roma, Firenze e, per la prima volta, L’Aquila. Le repliche si diradarono ad inizio del 2009, continuando per qualche mese senza la presenza di Walter, quindi ricevemmo la proposta di alcuni amici musicisti di integrarsi con noi e ricreare lo stesso spettacolo senza le basi musicali, suonando completamente “dal vivo”.

L’offerta ci venne da Sandro Filia, vecchio amico e collaboratore nel primo “Caleidoscopio” del 1987, che in quel periodo stava lavorando con Francesco Coppotelli ed altri musicisti ad un progetto sull’opera di Franco Battiato. Il nome del Gruppo prendeva spunto dal titolo di uno dei primi dischi di Battiato: “…sulle corde di Aries” https://www.facebook.com/pages/Sulle-corde-di-aries/47067319508 . Riprendemmo a provare lo spettacolo per qualche mese nella nuova formazione che prevedeva, oltre a noi e a Sandro Filia alle chitarre, la presenza di Carmelo Zappietro alla batteria, di Laura Paone al clarinetto e flauti, Luca Granata alle tastiere,

Cristian Luca Atzori al basso. La nuova versione andò in scena nell’estate 2009, al Parco Rignon in occasione della rassegna dei punti verdi di Torino, e continuò per altre quattro repliche, in Piemonte. Lo replicammo ancora nella vecchia formula “ridotta” in occasione di qualche festa o ricorrenza, sempre in sale piccole dove la formazione allargata non sarebbe stata proponibile, quindi terminammo le repliche a fine 2011.

 

Contemporaneamente, Angelo De Mattia ed io lavoravamo a due progetti in qualche modo “similari”, riprendendo in diversa maniera delle tracce umoristiche, tradizionali e non.

 

 

Angelo chiamò il suo spettacolo:

 

 

 

Un raggio di sole - luminosità sonore del Varietà 

 

Ancora una sarabanda gustosissima di macchiette, canzoni del Quartetto Cetra, di Burt Bacharah e tanto altro; con Angelo, in scena, a comporre il quartetto vocale, Luciana Ligios, Vito Suriano, Elisa Eusebio http://www.ilmondoinprimopiano.it/salute/medici/elisa-eusebio-medico-chirurgo.html

(poi sostituita da Maria Chiara De Mattia) , Maurizio Murgia http://www.villaggiomusicale.com/artista/maurizio_murgia; alle tastiere, Enrico Messina http://www.enricomessina.net/ (anche attore estemporaneo), con l’inserimento, nell’ultimo suo anno di vita, di Walter De Mattia, a comporre con Enrico un duo d’eccezione.

Lo spettacolo ancora in vita.

 

L’altro spettacolo in qualche modo nel genere lo intitolai:

 

 

Linguine, saltimbocca e sciocchezzuole- Karaoke e stuzzichini in salsa italiana 

 

Tre artisti ballano, cantano, recitano e affabulano in scena: Francesco Coppotelli, Arcangelo Giordano e Mario Coppotelli. Una comicità stralunata, un po’ di Ionesco, qualcosa di Gaber, e molta musica degli anni ’60, ’70, ’90, cantata in diretta su basi originali di gran qualità.

Uno spettacolo “leggero”, molto snello e veloce da approntare, che ebbe una buona vita per qualche anno, e che ha avuto ed ha a tutt’oggi l’occasione per spuntar fuori di nuovo, di quando in quando…

 

Oltre alla musica francese, la musica e la tradizione popolare andina era stata la mia grande passione giovanile. Quelle sonorità così particolari, una poetica tanto scarna e assoluta, la tragicità della quale sembra intrisa dalle origini la vicenda cilena e l’America Latina tutta; la figura di

Violeta Parra http://www.violetaparra.cl/costituiva per me, da sempre, causa di commozione e di meraviglia. Questa piccola donna, suicida nel 1967, questo gigante della “discesa” agli inferi delle radici della Terra e dell’ossessione d’amore, mi affascinava e continuava a “chiamarmi”.

Avevo da anni in progetto di far riscoprire la sua figura attraverso uno spettacolo, ma gli strumenti cileni (charango, bombo, quatro, tiple, flauti andini) non erano assolutamente surrogabili,perciò la cosa mi sembrava semplicemente impossibile; ad ogni modo, per mio piacere personale, elaborai un “qualcosa”, convinto che sarebbe rimasto per sempre nel mio cassetto.

Immaginai che il viaggio che Violeta aveva compiuto negli anni ’50 nelle radici del popolo Mapuche e nelle profondità del territorio cileno del sud (alla ricerca delle matrici musicali e poetiche più intimamente “popolari”) avesse un parallelo nel suo trovarsi ancora e sempre nel “ventre della balena” di una depressione nella quale si dibattevaed alla quale si opponeva con “strappi”, innamoramenti, cadute e risalite continui. Il suo viaggiare nel ventre della Terra, il suo muoversi sentendosi comunque e sempre prigioniera nel ventre della balena, il desiderio di “sciogliersi”, di “smembrarsi” lasciando un pezzo di sé in ogni angolo della Terra del Cile che tanto aveva amato, esiliata d’Amore(Exilada del sur) sino alla fine.

 

Completai così lo spettacolo, teoricamente un atto di poco più di un’ora:

 

 

Violeta, nel ventre – omaggio a Violeta Parra, al buio, alla poesia. E ai tagli di Luce dentro la Balena

 

alternando ad alcune canzoni da lei scritte e riprese dagli IntiIllimani e da Quilapayundei recitati che scrissi ispirandomi molto liberamente ad immagini presenti nelle canzoni di Violeta.

Come dicevo, lo spettacolo non sembrò realizzabile per cinque anni buoni, a fronte di qualche mio tentativo di reperire dei collaboratori al nostro interno, poi qualcosa sembrò muoversi, e l’ingresso di “linfa nuova” nella preparazione e messa in scena di “Smisurata preghiera” mi diede qualche speranza. Chiesi a Dario Cambianohttp://serenoregis.org/tag/dario-cambiano/e Loredana Arcidiaconohttp://serenoregis.org/tag/loredana-arcidiacono/se erano interessati, e loro risposero con entusiasmo. Entrarono nel gruppo anche Simona Cavallari, Giovanni Maiandi e Giovanni Ligios, e cominciammo a misurarci con l’impresa.

Dario iniziò lo studio del charango, che completò in pochi mesi raggiungendo un buon livello di confidenza con lo strumento. Loredana cercò di familiarizzare con i flauti andini, integrandoli in alcune canzoni con la fisarmonica, dando un effetto che risultò in molte occasioni ben più che credibile.I due Giovanni si dedicarono alle chitarre, cercando di impratichirsi sempre più con la “ritmica” sudamericana, quel particolare modo di usare la mano destra, molto lontano dal nostro modo di suonare. Io mi dedicai alle percussioni, ovvero il cajon, ovetti, e ammennicoli vari.

Ci propose il suo aiuto Alessandro Fassi, bassista (http://www.asuma.it/); il suo ingresso ci dette una grossa mano, oltre al piacere di molti di noi nel lavorare ancora insieme ad un progetto comune.

La mia idea iniziale era di avere tre voci soliste femminili, a rappresentare tre aspetti, tre colori, tre sentimenti dell’animo di Violeta Parra; poi, non riuscendo in nessun modo a reperire la terza voce femminile, cambiai i miei piani, e non potei far altro che diventare la terza voce.

Quindi, tre voci soliste: Loredana Arcidiacono, Simona Cavallari, ed io.

Lo spettacolo, pur tra le mille difficoltà tecnico/pratiche che ho già descritte, si fece, ed ebbe un successo direttamente proporzionale alle difficoltà che non ci abbandonarono mai, nemmeno per un istante della sua lunga vita. Uno spettacolo “emozionale”, amorevole.  Chi si aspettava da noi un “ensemble” tecnicamente ineccepibile e pienamente coerente con la tradizione strumentale cilena, restò sinceramente deluso. In realtà questo tipo di critiche ci furono – poche per la verità, ma ci furono -, accompagnandosi ad un consenso emozionato ed entusiasta (per dirla al modo di Paolo Conte) di moltissimi altri spettatori, in varie parti d’Italia dove ci esibimmo per associazioni, circoli ARCI, rassegne culturali. Avemmo la consolazione e il piacere di avere tra il pubblico Carlos Aragno, presidente dell’associazione della comunità cilena in Italia ElCaleuche il quale ci vide al Parco Rignon, per i punti verdi, nell’agosto 2009, e ci invitò a portare “Violeta, nel ventre” alla festa nazionale cilena di settembre, nel giorno della ricorrenza della conquistata indipendenza del Cile. Per noi tutti fu una giornata memorabile.  Portare a dei cileni le loro proprie radici, presentando loro il nostro caotico amore per la loroTerra, la loro tradizione, la loro Violeta! Personalmente, fu uno dei momenti più emozionanti della mia vita.

 

“Violeta, nel ventre” fu l’ultimo spettacolo a cui Padre John ebbe l’occasione di assistere, durante la veglia di Natale del 2008, alla cascina di Brillante (Carignano), prima di mancare improvvisamente il 24 gennaio 2009.

Cosa abbia rappresentato Padre John per tutto un Movimento durante i trent’anni di vita passata con lui, non èquifacilmente sintetizzabile. Il Gruppo Teatro Devadatta è nato ed è vissuto nel solco tracciato dal suo formidabile desiderio di Vita, dalla sua “tensione” verso le cose dello Spirito, dall’umorismo che lo contraddistingueva.

Il nostro percorso artistico si è dipanato ed è cresciuto in questo solco, ed ogni nostra “creatura” lo ha sempre trovato attento e curioso, anche al netto delle sue ovvie predilezioni che gli rendevano alcune cose più “prossime”, altre meno. Di ogni nostra nuova proposta si è sforzato di riconoscere e di farci riconoscere la presenza dello Spirito ispiratore, e l’onestà della nostra ricerca di lui.

 

Dopo la morte del John le cose ripresero dopo qualche mese con il ritmo corrente.

Continuarono le repliche di “Currenno”, di “Violeta, nel ventre” e delle altre serate musical/teatrali del tempo.

Nel 2012, mi venne l’idea di preparare qualcosa che ricordasse i quarant’anni del sacrificio di Victor Jarahttp://fundacionvictorjara.com/ , poeta e fondatore della NuevaCancion Cilena, ucciso nello stadio di Santiago il 13 settembre del 1973 durante i primi giorni del golpe ordito da Pinochet nei confronti del governo di UnidadPopular di Salvador Allende. Così, con gli stessi amici che avevano realizzato con me Violeta, nel ventre, iniziammo le prove dello spettacolo:

 

 

El colibrì – nel vento incessante di Victor Jara     

 

Dopo qualche mese di prove, Simona Cavallari dovette fermarsi per un periodo, perciò, in sostituzione, fecero il loro ingresso come percussionista Roberto Sandrone (il cui “ritorno” è stato una costante nei trent’anni di vita del Gruppo teatro) e Vincenzo Mulè, un musicista innamorato della musica andina. Vincenzo, da sempre, fabbrica da sé piccoli e grandi strumenti musicali, quindi costruì per il Gruppo: flauti andini, un cajon, un tiple, un quatro e un bombo.

Insomma, un laboratorio vivente, una liuteria a portata di mano, ed una voce particolarmente adatta alle sonorità andine.  Andammo in scena a inizio giugno 2013, quarantennale della morte di Victor Jara, replicando in varie circostanze a Torino, La Spezia, Soriso, Genova, Cavour, Novara, ecc. sempre “prestando” lo spettacolo ad organizzazioni umanitarie quali l’ASAI, il Kiruachildren, il Mattone su Mattone, Fredo Olivero della Pastorale Migranti, il Centro Studi Sereno Regis ed altri.

 

A Casalborgone avemmo tra il pubblico Eduardo “Mono” Carrasco

http://www.muralescarrasco.com/, il mitico muralista cileno di tutto il periodo di UnidadPopular, anch’egli esule in Italia dal 1973. Carrasco è l’autore di tutte le copertine dei dischi degli IntiIllimani, da “Viva Chile!” in poi; dopo lo spettacolo ci regalò qualche consiglio, qualche ringraziamento, ed una stampa della copertina di Viva Chile!, con la sua firma autografa, e la dedica a tutto il Gruppo Teatro Devadatta.

El colibrì è tuttora in programmazione.

Intanto, nell’aprile 2010,  a poco più di un anno dalla morte di Padre John, avvenuta a gennaio 2009, era mancato improvvisamente Walter De Mattia.

Di Walter ho già parlato in altri momenti di questa narrazione; aggiungerò che Walter non è stato solamente figlio, marito, padre, fratello, ma  anche un amico di tanti di noi.

Ha seguito ed accompagnato più di vent’anni di vita del Gruppo Teatro Devadatta, seguendo e partecipando in modo diretto o indiretto a tutte le sue produzioni.

Dal momento della sua dipartita, ogni spettacolo concepito e messo in scena da suo fratello Angelo e da me lo ha poi avuto come ideale destinatario, una sorta di “presenza sottesa”, un “musicista fuori scena”; così sarà finche anche noi avremo vita.

 

 

Dopo il 2010, realizzammo alcuni progetti che vengono ancora eseguiti;

uno di questi fu un progetto musical/teatrale molto interessante di Simona Cavallari:

 

 

Oraticanto. Incontro con Myriam di Nazareth   

 

Un piccolo volo di musica e parole da tutto il mondo presentato in molte delle cascine dei Ricostruttori e non solo. Si tratta di un intenso alternarsi di storie, ninna/nanne, canzoni di Simona e un canto di Giorgio Foglia per voci, chitarre, percussioni e violoncello conSimona Cavallari, Doriana Magri http://www.imusicidisangrato.it/chi_siamo_1.html,CarmelaLigios, Giorgio Foglia, Giovanni Ligios; una narrazione da donna a donna, dai giochi dell’infanzia finita assai presto, alle sfide della vita adulta ed al compimento nella vecchiaia. Lettura tutta al femminile, da scoprire, dalla quale lasciarsi sorprendere e coinvolgere, che condurrà ad un incontro particolare: quello con Miriam di Nazareth e la sua storia, una tra le più incredibili dell'umanità.La serata è ancora in programmazione.

 

Un secondo, di Angelo De Mattia, fu:

 

 

Il Pesce con le Ali - discorso sull’Uomo e la sua avventura    

 

Uno spettacolo teatrale, basato su un manoscritto degli anni ’50 (pubblicato a puntate su un famoso rotocalco del tempo) nel quale PieroScanziani

https://it.wikipedia.org/wiki/Piero_Scanziani, giornalista e scrittore, parlava dell’Avventura dell’Uomo, dall’alba del concepimento alla morte. Riscoperto e riadattato da Angelo De Mattia, il lungo appassionante monologo è contrappuntato da video, immagini e da alcune canzoni di Ivano Fossati cantate da Luciana Ligios e Vito Suriano.
Si parla di una parabola; la vicenda di una spinta formidabile di evoluzione che ha slanciato la psiche, il corpo, il cuore di ognuno di noi in verticale, e che ancora ci spinge ben oltre le reti di un ciclo vitale “biologico”, là dove siamo di casa.Una ricerca di senso che ha connotato tutta la vita del Gruppo Teatro e che continua e si approfondisce con questo lavoro di Angelo.

Lo spettacolo ha molti destinatari  e qualche dedica; certamente per Padre Cappelletto, per Walter De Mattia, per lo stesso Scanziani, e per Mia Martini, artista da tutti noi molto amata.

Daniele Crivello ha curato le immagini e la parte musicale al mixer audio; è stato poi sostituito da Enrico Arnone. Walter De Mattia ha realizzato finché ha potuto le basi musicali; in ultimo, il suo lavoro è stato completato da Enrico Messina

Lo spettacolo ha girato molti teatri, auditorium e sale concerti; tra le tante città ricordo Pistoia, Terni, Roma, Manfredonia, , Lucca,  Milano, La Spezia, Pescara, L'Aquila, Napoli e Campania, ed è ancora più che mai in programmazione.

 

 

Una serata da un’idea di Benedetta Alessandrini:

 

Todo cambia – Il coraggio di cambiare nell’esperienza di una donna  

 

Spettacolo in prosa con musica dal vivo ispirato al diario di EttyHillesumhttp://www.ettyhillesum.it/ , una donna che nella sua breve esistenza conclusasi nel Lager di Aushwitz il 30 novembre 1943 ha sperimentato una radicale trasformazione interiore, dal senso dell’umana debolezza alla piena consapevolezza di sé.

Lo spettacolo ha viaggiato molto per la penisola, dal Piemonte, al centro Italia, alla Sicilia; nel 2013 è stato inserito nel programma di Torino Spiritualità.

Con Benedetta Alessandrini voce recitante, voce solista, violino, Vittorio Varesio voce solista, chitarra, tastiere, armonica a bocca, Fabrizio Cirelli, percussioni.

 

Ancora, un ulteriore progetto:

 

Senza Fine – Un viaggio musicale nei dintorni di Herbert Pagani, con la partecipazione ideale di 

                       Lucio Dalla, Battisti, Tenco, Conte ed altre meraviglie…   

 

 

Avevo in mente da tanto di costruire uno spettacolo intorno alla figura di

Herbert Pagani(http://www.bielle.org/Pages/h_pagani.htm) prendendo alcuni dei cantautori del suo tempo (gli anni ’60 e primi ’70), perché mi interessava “parlare” ai miei coetanei, i cinquantenni, quelli usciti dal ’68 con uno slancio ideale fortissimo che poi – per mille motivi – sembravano sostare in una sorta di limbo, di assenza di Utopia, di sospensione. All’inizio mi sembrava di poter ancora usare la formula del teatro/canzone, magari con delle basi musicali, ma si faticava a partire e la cosa sembrava poco realizzabile.

Chiedevo aiuto all’uno e all’altro dei musicisti che tante volte avevano collaborato e animato la vita del Gruppo Teatro, ma per un verso o per l’altro nessuno sembrava interessato a questo specifico progetto che si presentava ai loro occhi alquanto “datato”.

Così, traccheggiai per quattro anni circa tenendo il tutto nel cassetto, quando mi venne l’idea di sottoporre il progetto ai miei vecchi amici musicisti, quelli del Gruppo del quale facevo parte ai miei esordi, il Torino Formazione Archivio, e scrissi ad Ortensio Lepore una lunga lettera dove presentavo il tutto, comprese le difficoltà che mi sembravano un po’ decisive.

Lui mi rispose con un’ altrettanto lunga lettera, dichiarandosi interessato a parlarne, chiedendomi il permesso di parlarne ad un altro amico del tempo, Angelo Buglio. Roberto Sandrone era già da tempo un collaboratore del Gruppo Teatro, perciò ci ritrovammo a parlarne con loro, con Arcangelo Giordano e con Francesco Coppotelli. Fu come mettere in moto un locomotore fermo da tanto tempo ma con i meccanismi pronti a partire; Ortensio coinvolse un amico che suonava con loro nel gruppo Equipaggio ‘70 http://www.equipaggio70.it/index.html, il tastierista

Giorgio Pasinihttps://www.youtube.com/user/pasinigio. In capo a pochi mesi di prove, andammo in scena proprio nella data che avevo scelto per l’esordio, il 12 dicembre 2012, data che secondo il calendario dei Maya indicava il momento della fine del mondo (!).I mezzi di comunicazione e i social ne parlavano molto, nei mesi precedenti, un po’ scherzosamente un po’ no, e a me premeva che proprio quella sera così simbolicamente connotata presentassimo lo spettacolo il quale, nel titolo e nei contenuti, rilanciava nelle intenzioni l’”Ideale”, lo slancio, la Verticalità.Portammo quella sera lo spettacolo nella sede dei Ricostruttori a Torino; in seguito, al Teatro Baretti, alla Chiesa di San Rocco da Fredo Olivero e al Teatro Santa Croce di Beinasco, per l’Autunno Musicale.

I brani recitati e le letture sono elaborazioni da scritti di: Natalia Ginzburg, Tiziano Terzani, Wislana Szimborska, Cesare Pavese; altri sono di Mario Coppotelli.

Il tecnico audio, come sempre, è Mario Negrini.

I musicisti in scena sono: Arcangelo Giordano, chitarra, voce solista e voce recitante;

Francesco Coppotelli, violino, voce solista e voce recitantehttp://www.pabloeilmare.it/,

Ortensio Lepore, chitarrehttps://www.facebook.com/groups/954722151247068/?fref=ts,

Angelo Buglio, basso,https://www.facebook.com/pages/Movies/1738761836350171?fref=ts

Roberto Sandrone, batteriahttps://www.facebook.com/groups/954722151247068/?fref=ts. Giorgio Pasini, tastiere, dopo la prima esecuzione si ammalò gravemente, e fu sostituito da

Elia Negrinhttps://www.facebook.com/pages/Movies/1738761836350171?fref=tsa tutt’oggi.

Giorgio si è spento alla fine del 2013, e “Senza Fine” da quel momento, è stato dedicato anche a lui. Lo spettacolo è tuttora in programmazione.

 

Con gli stessi amici musicisti abbiamo messo in scena, ed attualmente eseguiamo:

 

 

Caravanserai – traversate musicali dai ’70, per chi li ha visti e per chi non c’era 

 

Uno spettacolo dedicato a Giorgio Pasini e Walter De Mattia, musicisti fuori scena, e alla figlia di Elia, Eleonora Negrin.

In ciò che Ortensio, Roberto, Arcangelo, Angelo, Elia ed io presentiamo nella serata, emergono carovane di suoni. Canzoni. Profumi e colori di un tempo intenso e fluido, così pieno di incontri e possibilità quali sono stati gli anni ’70, profondamente connotati dalla musica di quel tempo. Qualcosa che riporti il senso del viaggio, dell’uscire dalla propria terra per lasciarsi condurre in quel deserto che ognuno di noi prima o poi esperimenta, e dal deserto cercare il grande Caravanserraglio dove incontrare presente, passato e futuro, mescolando e confondendo i piani, stimolando domande e accendendo risposte.

Le letture (le quattro Carovane) sono libere elaborazioni da testi di Hermann Hesse, Carlos Castaneda, ed uno scritto mio.

 

Nel 2013/2014 sono andati in scena anche: uno spettacolo ideato da Silvia Musso:

 

Una culla per l'anima - Un omaggio alla vita, all'amore e alla natura nelle canzoni di Elisa.

 

Testi liberamente tratti da: "La voce del maestro", "Invocazioni e preghiere dal popolo degli uomini, egli è in tutte le cose" (indiani del Nord America). Chitarre e arrangiamenti Vittorio Guerriero; percussioni Alessandro Fassi;violoncelloDoriana Magri; voce Silvia Musso.
 

…ed una serata teatrale con inserti video, audio e audiovisivi, che ho concepito ed elaborato sulla figura e gli scritti di Don Lorenzo Milani:

 

 

Dell’obbedienza e delle virtù – Don Milani nel tempo che viene. Lettere da Barbiana a quelli di sotto.     

 

Idealmente, si tratta di un ulteriore lavoro sulla strada del Teatro etico, spirituale e sociale ad un tempo, che era stato esplicitato maggiormente ne: El colibrì, nel vento incessante di Victor Jara.

In questa serata, non ho aggiunto una parola che non fosse estratto da una riflessione, una lettera, un’invettiva di Don Lorenzo http://www.donlorenzomilani.it/.

In scena, con me, ad eseguire le letture: Bruna Corrado, Giovanni Ligios e Dario Cambiano.

 

Queste due serate sono tuttora in programmazione, come pure Il pesce con le ali,

Eppure sembra un Uomo, Senza Fine, Il sorriso dello Spirito, Oraticanto, Caravanserai, Un Raggio di Sole, Currenno, Anema e Core.

 

Ciò che resta da fare, a questo punto, è aprire il capitolo dei Sogni, dei progetti, dei…

 

PROSSIMAMENTE 

 

 

bottom of page